domenica 26 settembre 2010

Vivere con la paura




ll primo film che ho visto dei fratelli Taviani l’ho visto in Somalia all’Istituto di cultura italiano. Ero piccola, erano ancora gli anni ’80 e la guerra non si era mangiata il Paese. Quel giorno l’Istituto apriva le sue porte e il film era "San Michele aveva un gallo", la storia di un anarchico condannato all’ergastolo. Giulio Manieri, così si chiamava, cercava di vincere lo sgomento della segregazione riempiendo la sua cella di fantasie e di impegno politico. Giulio attraverso l’immaginazione si conservava vivo. Io ero piccola, ma ricordo che mi colpì la forza di quel personaggio. Quando l’altro giorno ho sentito parlare Vittorio Taviani (al Salina Doc Festival) mi sono ricordata di Giulio Manieri. Ho intravisto in quel signore, che tanto ha dato al nostro cinema, una forza che i nostri politici non hanno più. Vittorio Taviani rivendicava il suo essere toscano, romano e anche un po’ siciliano, anzi salinese. L’identità è un flusso in movimento, non una entità rigida diceva il signor Vittorio. 
Siamo da sempre un popolo in continuo meticciato. Peccato non aver avuto un registratore con me. Avrei registrato quelle parole per l’assessore di Roma Marsilio (che vi ricordo ha detto che i figli di migranti nati in Italia non sono italiani, poi ha smentito per le pressioni politiche). Essere italiani è sempre stato complesso, ma la sfida che abbiamo davanti è creare un italiano felice e a suo agio nella sua complessità. Dire che i figli di migranti non sono italiani è un passo falso. Un precedente molto pericoloso. Un popolo complesso è felice solo se ogni sua parte è accettata e amata. Invece l’assessore di Roma ha puntato il dito e ha voluto alimentare le paure degli italiani. Ma come dice un proverbio spagnolo “Vivir con miedo es como vivir a medias”: vivere con la paura è come vivere a metà. Speriamo che Dio ci salvi da questo vivere a metà.

Corde...un poema visivo.

Il cinema italiano è pieno di talenti...ma non vengono aiutati, supportati, amati.


Ecco Il documentario che ha vinto il Salina Doc festival. Un poema.


Guardatelo qui: http://www.youtube.com/watch?v=H-JpJ2Kfljw

sabato 25 settembre 2010

Tristezza senza fine (questa foto non mi ha fatto dormire)





http://www.repubblica.it/esteri/2010/09/23/foto/mogadiscio_il_bambino_con_lo_squalo_sulle_spalle-7354928/1/


Guardate le altre...dietro le rovine di Mogadiscio sob!

La mia casa è dove sono











Quando è scoppiata la guerra in Somalia Igiaba non se n'è accorta. Aveva sedici anni, stava a Roma, e quella sera sperava solo di baciare il ragazzo che le piaceva. Non sapeva che per due anni non avrebbe più avuto notizie di sua madre. Non sapeva che la guerra si porta via tutto, anche l'anima. Igiaba è nata a Roma perché suo padre, ex ministro degli Esteri somalo, ci veniva a "studiare la democrazia" negli anni Cinquanta. E al Sistina era rimasto stregato dalla voce di Nat King Cole e dalla sensazione che in quella città si potesse ricominciare a sognare. Se ne ricordò tanti anni dopo, quando il colpo di stato di Siad Barre costrinse lui e la famiglia all'esilio in un altro paese. Per questo Igiaba per lungo tempo ha sentito parlare della sua terra solo attraverso le fiabe della madre e i racconti nostalgici dei fratelli, che ricordavano i fasti passati. Lei della sua infanzia romana ricorda bene invece gli insulti dei compagni di classe per il colore della sua pelle e le incursioni a Trastevere con la madre, nel cuore della notte, per avere un po' di pasta e qualche vestito dalle associazioni del quartiere. Ora è diventata la voce ironica e intensa della seconda generazione, sospesa tra il fascino per le proprie radici e l'amore per la terra in cui è cresciuta. Questo è il racconto di cosa significa portarsi dietro la propria casa in un paese nuovo, delle difficoltà di essere accolta, accettata, amata. 



È la storia di Igiaba ma, in fondo, parla di noi.

E anche in questo blog ci sarà la mia storia (i miei sogni), ma 

anche la vostra